Pare (ma le questioni
etimologiche sono sempre incerte e perigliose) che il termine generico ceramica derivi da keramos, cioè dal semplice nome dell’argilla. Quella della ceramica
potrebbe essere detta l’arte dei quattro elementi di cui gli antichi credevano
fosse composto il mondo: la terra, l’acqua,
il fuoco e l’aria. Nel XXVIII canto dell’Inferno Dante parla dei
seminatori di discordia citando l’isola di «Maiolica», ossia Maiorca, famosa
per i prodotti ceramici prodotti dagli arabi che occupavano nel Medioevo la
abitavano. Tra gli oggetti in ceramica si distinsero le maioliche provenienti dalle Isole Baleari,
e caratteristiche non soltanto per la loro decorazione esotica, quanto per la lucentezza dovuta agli smalti. Maiorca,
però, oltre ad essere produttrice fu soprattutto naturale ponte per
l’esportazione in Italia di tali prodotti fabbricati dgli arabi nella Penisola
Iberica. Non dobbiamo dimenticare che per maiolica nel Rinascimento s’intendeva
qualsiasi manufatto in terracotta invetriata e fino a metà del XVI secolo
distingueva i manufatti di terracotta invetriata che avevano le caratteristiche
della terza cottura e cioè i riflessi metallici. Il nome, che entrò nel
linguaggio italiano a specificare un genere importato, dovette includere anche
la produzione italiana per i successi
conseguiti dalle officine locali. All’uso domestico si affiancò un genere che
diremmo quasi ausiliario dell’architettura che comprende le piastrelle, i
pavimenti e le targhe murali. Sfruttando le virtù plastiche dell’argilla si
creò un nuovo genere di rivestimento ceramico che si prestava particolarmente
alla pavimentazione d’interni. Mediante l’accostamento di piastrelle variamente
sagomate, smaltate e dipinte, si rivestirono intere pareti o si ricoprirono
modesti pavimenti, ottenendo brillanti e durevoli risultati. Il gusto della
decorazione e sensibilità pittorica erano gli stessi del vasellame domestico,
che a sua volta prendeva ispirazione dalle iconografie coeve.
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